Ormai ho definitivamente compiuto i 36 anni ma se mi guardo intorno non sono una nostalgica dei 20, perché non credo di essere mai stata meglio nei miei panni di adesso.
A 20 anni avevo il mondo ai miei piedi: ero bella, in forma, desiderata dal sesso maschile, pensavo solo a uscire e divertirmi e vivevo l’università in maniera serena e super positiva. Milano era bella da vivere, non mi preoccupavo dei soldi perché qualcosa saltava fuori dal mio lavoro di educatrice alla scuola elementare e all’asilo. In realtà io non la vivevo così: non ero così consapevole e sicura di me. Se mi guardo indietro, ho vissuto quegli anni a metà: per essermi persa dietro alcune insicurezze, che oggi non esistono più.
Una prima sicurezza me l’ha data la laurea, sudata e desiderata, a pieni voti con la lode. Li ho capito che ero in grado di fare tutto ciò che volevo nella vita dopo essere stata un brutto anatroccolo scolastico al liceo. Liberata da una piccola città, Milano mi aveva offerto un orizzonte culturale molto più ampio e un anonimato che nella dimensione di provincia non esisteva (e non esiste nemmeno oggi che ci sono tornata ma che vivo in maniera totalmente diversa).
Milano mi ha aperto gli occhi anche sui pregiudizi di cui mi sono nutrita in un ambiente gretto e bigotto come quello della provincia, dove lo sport quotidiano é ficcare il naso nella vita degli altri e giudicarli, solo per riempire la vuotezza della propria.
Una vita vuota che per molti finisce per esaurirsi nello stesso luogo in cui è cominciata.
La seconda sicurezza me l’ha data il lavoro: assunta e con uno stipendio fisso decente ho respirato finalmente l’indipendenza.
Il lavoro mi ha messa a contatto con tante sfide e tante persone: lasciata la provincia, ho capito che più la città è grande, più è grande la grettezza delle persone meschine ma grande é anche la bellezza delle persone belle.
Ma è da quelle orribili che ho imparato di più: mi hanno insegnato chi non volevo essere e quali sono le persone che non voglio più vivere nè nella vita, né (potendo) per lavoro. Ho cercato di imparare dalle persone grette quali sono i giochetti falsi che gli incapaci mettono in atto per bearsi dei tuoi sacrifici e godere dei tuoi risultati spacciandoli per propri, ho imparato finalmente ad essere diffidente e non vedere sempre e solo il bicchiere pieno.
E soprattutto, ho imparato a sentire (e ad ascoltare) la voce del mio istinto e del mio mal di pancia (se sono nervosa o qualcosa non va, la colite e lì che mi aspetta), ad ascoltarlo e a interpretarne i segnali. Infatti la colite non mi viene se ascolto il mio istinto!
La terza cosa sono i maschi: dai 20 ai 30 ne ho incontrati tanti e frequentato qualcuno. Vissuti in prima persona o sperimentato quelli delle amiche. E anche loro mi hanno insegnato quello che non voglio ricevere da un partner.
Dunque: ho vissuto il fidanzato ossessivo di una ex amica (ci siamo perse di vista dopo che una sera ha fatto la cretina irresponsabile, tipo farsi dare un passaggio in autostop in piena notte da gente che non conosceva incontrata in discoteca) che chiamava in continuazione sia lei che noi amiche sui rispettivi cellulari per sapere dove era lei, cosa faceva, se diceva la verità.
Qualche mese dopo lui già conviveva con un’altra e la mia ex amica si era trasferita in un’altra città con la famiglia. Ergo: quella rottura di coglioni non valeva la pena di essere vissuta.
Ho fantasticato per anni sul costruire una relazione (che avevo) che (ne ero certa) mi avrebbe portato finalmente ad una convivenza con l’uomo che amavo.
La realtà: lui non ne aveva nessuna intenzione, non mi aveva mai realmente fatto posto nella sua vita e si godeva i suoi soldi per sè, comprandosi le cose più assurde per hobby. Lo so che se sei mia amica hai capito di chi parlo. Non sto a dire la mia delusione alla fine di cinque anni di relazione. A sua discolpa parziale posso dire che aveva motivi che io non avevo colto e di cui lui mi ha parlato solo a cose finite.
Ho incontrato quello separato che si rifà una vita: se una prima di voi l’ha sposato e mollato ha avuto dei buoni motivi. Anch’io li ho avuti. E forse erano gli stessi. Li ho capiti prima di imbarcarmi in una cosa più grande di me che avrebbe (forse) previsto anche figli, che non volevo nemmeno col binocolo.
Ho evitato come la peste gli uomini con figli. Almeno a 20 e rotti anni, sigle e senza figli.
Oggi dovessi tornare single, avendo figli, forse preferirei un compagno che comprenda che cosa vuol dire essere genitore (posto che un adulto non sempre è tanto responsabile da averlo capito).
Oggi queste tre tappe mi accompagnano ancora, mi piace crogiolarmi nei ricordi perché quando indugio nei particolari del passato ci ritrovo ancora lezioni utili per il presente. Di solito, ricordo soprattutto quelle occasioni che mi sono bruciate di più per l’umiliazione o la delusione, mentre ci sono momenti in cui ho il tempo di oziare con la mente e allora riaffiorano anche quei momenti che superficialmente avevo dimenticato. Quelli di solito sono quelli davvero illuminanti!
Oggi i ricordi rimangono lì, come foto, divertenti da guardare, mentre una volta mi sarei lasciata influenzare.
Quello di cui mi cibo oggi sono le opinioni, spietate, di poche persone fidate. Il resto è venticello.
Il mio tempo è diventato prezioso e sto imparando ad evitare quelle rotture appunto che mi distraggono dagli obiettivi che vorrei raggiungere. Sto imparando a trascurare le persone che non mi porteranno da nessuna parte, sia in termini di guadagno economico ma anche di arricchimento personale.
Ho imparato ad aspettarmi le chiamate e i messaggi delle persone, non credevo quanto mi aprissero gli occhi su chi c’è e chi stavo rincorrendo.
Sembrano condizioni banali ma io per ingenuità ho rincorso tante di quelle persone e sognato sviluppi ipotetici di talmente tante relazioni personali e professionali che posso contare le realizzazioni sulla punta delle dita e considerare infinite le delusioni. Per colpa mia. Per essermi fatta castelli di sabbia su intuizioni sbagliate o totale incapacità di cogliere la vera natura delle persone.
Un figlio non lo posso considerare appartenente ai miei 20 perché sono diventata mamma a 32 ma di sicuro è stato un cambiamento epocale nella mia vita che mi insegna ogni giorno perché sono convita che i 30 siano assolutamente meglio dei 20. Ma con questo non voglio dire che tutte le donne dovrebbero avere figli.
“Scavallare” (=passare dalla condizione di figlia a quella di madre o di donna indipendente, fuori di casa) è un verbo che mi si addice e che nella sua spietata obiettività un pò acida mi ha detto una persona a cui voglio bene (e a cui non lo dico mai!).
Ecco, io ho consapevolmente scavallato, e sono felice.