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Un concetto che spesso mi trovo a trattare con i clienti è quello di influencer, chi sono, cosa fanno e come possono spingere verso il successo la proposta di prodotto/servizio di cui le aziende si occupano.

Rispetto a qualche anno fa, soprattutto con l’esplosione di Instagram gli influencer (veri o presunti) invadono la casella di posta delle aziende che seguo con tantissime proposte di collaborazione, tanto che è diventato difficile capire di chi fidarsi, soprattutto per i non addetti ai lavori.

Un influencer è un professionista del web che spesso ha un blog che per stile, opinioni espresse, cura dell’immagine, attrae talmente tanti lettori che le sue scelte in fatto di moda, cibo, vacanze influenzano a tal punto chi lo segue da rappresentare un volano per le vendite del prodotto proposto.

Facciamo un esempio, o più di uno: Chiara Ferragni ha inventato letteralmente la figura della fashion blogger. Bella, intelligente e con un gruzzolo a disposizione e una cospicua sicurezza in sé – ma anche i contatti giusti – ha deciso di diventare un modello di riferimento piuttosto che “subire” le scelte altrui. Ormai 10 anni fa, questo era assolutamente inusuale e ha attirato l’attenzione delle ragazze, delle haters (=i detrattori per dirla all’italiana), piano piano delle aziende. Ma perché le aziende?

Perché se Chiara Ferragni indossa(va) uno modello preciso di scarpe, le sue follower ne andavano alla ricerca nei negozi, e quelle che se lo potevano permettere acquistavano quello stesso modello. Insomma ogni scelta diventava un diktat perché Chiara Ferragni si è guadagnata sul campo una credibilità dal basso mai avuta prima da una persona comune.

Questa credibilità ha influenzato le scelte di acquisto continuamente, tanto che le aziende, interessate allo stesso target di lettrici di Chiara Ferragni, hanno cominciato ad affidare a lei la comunicazione dei loro prodotti, invece che alla pubblicità tabellare classica, quella dei giornali per intenderci.

Non è detto che un influencer però sia attiva sul web, lo sia consciamente e lo faccia attraverso un blog: pensate alla Duchessa di Cambridge, Kate, moglie del futuro re, William d’Inghilterra.

Le scelte di stile per sé e per i suoi figli hanno determinato veri e propri sold out (=esaurimento dei capi nei negozi, in questo caso). Il favore mediatico che si è saputa costruire non le ha portato soltanto apprezzamento per il suo ruolo istituzionale, ne ha fatta un’icona di stile. Più accessibile della defunta suocera Lady Diana. Un’iconicità che le ha fatto preferire abbigliamento low cost e non distintivo soprattutto perché i suoi figli non venissero strumentalizzati mediaticamente.

Kate, infatti, sceglie per sé anche pezzi di Zara, il colosso spagnolo del fast fashion ma anche stilisti della maison inglesissima McQueen perché, cosciente del ruolo ricoperto, si barcamena brillantemente fra il basso profilo economico (doveroso in tempo di economia complessa a livello globale) e – per le occasioni più importanti – la promozione della moda inglese, di cui rappresenta il gradino istituzionale fra i più alti.

Se nel caso di Chiara Ferragni coinvolgerla è solo una questione di budget, più complesse sono le ragioni che spingono Kate d’Inghilterra a vestirsi e vestire i propri figli con i marchi di cui sopra. Quindi nell’ottica di un investimento va valutato attentamente a quale pubblico si rivolge l’influencer e se è avvicinabile sia per budget che per ruolo sociale.

Così come accade nella moda, anche negli altri settori merceologici ci sono influencer: nel settore del cibo, Chiara Maci che qualche tempo fa ha spiegato esattamente che cosa fa e perché lo fa, senza ipocrisie. Nel turismo, Nunzia Cillo (che a dire il vero è più trasversale, diciamo lifestyle), nel mondo mamme ha un buon seguito Valentina Piccini, solo per citare alcuni nomi interessanti.

Ma allora tutti gli altri?

Innanzitutto, è abbastanza semplice capire chi lo è solo di nome, un influencer.

Sì perché l’interesse che le aziende hanno per questa figura, ne ha fatte spuntare come funghi. Funghi velenosi oso dire: alla ricerca di facili guadagni e di scarsa cultura generale sull’argomento, giovani (e non) di belle e futili speranza aprono canali Instagram definendosi influencer nella descrizione del profilo (la cosiddetta bio) sui canali social (perchè spesso il blog non sanno nemmeno cosa sia).

Il punto è proprio nell’ “autodefinirsi”: un influencer non si definisce in autonomia, sono i risultati e il seguito di follower che lo definiscono tale.

Come riconoscerli?

Un influencer fasullo ha un profilo con foto di scarsa qualità, senza nessuna logica; le foto sono solo una manciata, diciamo una cinquantina, che raccontano la sua vita in maniera abbastanza “povera”, e le collaborazioni con le aziende sono fra le più disparate, prive di senso: dalle pompe funebri agli orinatoi. Con un numero di seguaci altalenante (pericolosamente) o eccessivo, per il tipo di attività che svolgono nei canali. Ergo, o comprati con campagne volte all’acquisizione di like o acquisiti con un meccanismo di follow-defollow solo per il gusto di veder salire un numero, un mero numero, che quelli bravi definiscono vanity metric, cioè un valore numerico che non ha alcun reale valore commerciale o d’interesse.

Un blogger diventato influencer o un influencer “puro” (passami il termine) invece ha una strategia di marketing ben precisa, cura maniacalmente il lavoro testuale e d’immagine, le collaborazioni con le aziende. Chi si occupa di moda non mischia le proprie proposte facendosi coinvolgere da un’azienda di bagni perché sa che il suo pubblico (il suo target) è interessato alla moda e alle scelte di stile, non ai wc. Almeno non da Lui/lei.

Un vero influencer ha un business il più verticale possibile perché ha la serietà di proporre solo ciò che conosce a fondo. Un esempio? Il blog bagnidalmondo.com. É graficamente ben curato e da tanti anni è un punto di riferimento nel settore per la sua estrema verticalità: tratta solo di bagni, piastrelle per bagni e arredo bagno. Una chicca da seguire per chi si occupa del settore.

L’influenza, quindi, è innanzitutto un rapporto di fiducia e la creazione di stile personale che attira gli utenti e fa preferire un personaggio piuttosto che un altro. Che lo rende credibile. Credo che – almeno inizialmente – i nomi che oggi si rincorrono costantemente nei vari settori, presentino innanzitutto un’attitudine personale distintiva di base nella rappresentazione di un prodotto o di una situazione. A tavolino è poi il lavoro di resa dell’immagine ma credo che, di fondo, siano personaggi interessanti in partenza. Insomma dotati. Che poi hanno sfruttato questa leva, assoldando altrettanti fotografi, stylist etc…perchè hanno capito che rendere i propri canali accattivanti è frutto di cura, investimenti e intervento di persone altrettanto in gamba.

Non è solo frutto di un percorso di studi.

Non è una cosa che si impara studiando. E’ prima di tutto, io credo, propensione personale condita da una buona dose di strategia.

Ed è questo il motivo per il quale tutti gli eserciti di blogger, oggi, ci appaiano una massa indistinta senza senso. Perchè non è passato il messaggio che INFLUENCER si diventa, non si nasce. Ma si nasce trascinatori, si nasce scrittori, si nasce con uno stile, con un senso dell’immagine che non possono essere insegnati.

A noi professionisti il compito di valorizzare chi merita di essere considerato influencer quando parliamo ai nostri clienti di investimenti in Digital PR. Per abbattere quelli che sono falsi ritorni d’immagine 🙂

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Valeria Sartorio
Valeria Sartorio
FEMMINA CAUCASICA, PROFESSIONISTA PER LA COMUNICAZIONE & LE PI(ERRE), OFFRE GRATIS QUI STORIE A BASE DI ATTUALITÀ, NUOVI MEDIA E ANEDDOTI SEMISERI DI VITA VISSUTA.

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